di Luca Dionisi
Aboutme

“Le risposte a tutte le domande sono contenute in uno smartphone, o presto lo saranno. Certo, tutte le risposte … escluse quelle importanti”
(Howard Gardner)

Nel corso di riunioni nel mondo della Scuola o nel campo della formazione in ambito educativo e didattico spesso mi capita di incontrare insegnanti sensibilmente impensieriti dalle scelte educative da attuare per gestire al meglio la propria classe e per avere una conduzione della lezione più fluida, in modo da pensare solo secondariamente alle scelte didattiche: sono considerazioni che riscontro anche in giornate di formazione istituzionali, che per esperienza personale mi sembra accomunino insegnanti sia su territorio italiano sia nel contesto europeo. Le critiche che maggiormente vengono rivolte agli alunni, più o meno direttamente, riguardano la distanza delle prestazioni cognitive e affettive dei bambini rispetto alla regolarità e allo standard: spesso – se non inconsciamente almeno con poca consapevolezza – si opera etichettando gli alunni come troppo diversi per essere compresi, troppo differenti per essere inclusi.

Uscendo dal microcosmo Scuola possiamo trovare simili percezioni anche negli ambienti di vita quotidiana, concentrandoci su piccole e grandi realtà, locali e globali: attualmente coloro che appartengono alla Generazione X – locuzione generalmente utilizzata per descrivere tutti quegli individui nati approssimativamente tra la fine del colonialismo e il termine della Guerra Fredda (o la caduta del muro di Berlino) – non riconoscono la generazione successiva come simile alla propria. Di recente vi sarà capitato, ad esempio, di entrare in una di quelle discussioni aventi come argomento l’approccio dei giovani con il digitale, con il mondo delle APP e degli smartphone: dalle tematiche relative al cyberbullismo alle molteplici considerazioni sugli #haters, passando per il caso di Steve Stephens – l’uomo che di recente ha postato sui social il video dell’omicidio di cui è stato egli stesso autore – e le azioni messe in atto per la sicurezza degli smartphone walkers: è notizia di qualche mese fa la sperimentazione in Olanda del progetto “+Lightlines”, che consiste in attraversamenti pedonali 2.0 (proiezioni luminose a terra, sincronizzate con i semafori) realizzati proprio per seguire i bisogni emersi negli ultimi anni.
Di nuovo, anche in contesti differenti dalla Scuola i giovani vengono percepiti come così diversi da non poter essere integrati nel tessuto sociale che si è strutturato negli ultimi decenni e, a loro volta, i giovani si stanno costituendo come generazione separata dalla precedente, sostenuti spesso da un contesto sociale che ne amplifica le richieste: ne è un esempio il film Birdman, che nel 2015 ha vinto l’Oscar come miglior film, il quale raccoglie la tematica e in differenti modi ne analizza gli effetti. A parlare in questo estratto è Sam, interpretata da Emma Stone, che rivolgendosi al padre sembra attestare il distacco tra le due generazioni:

«Tu stai facendo questo perché vuoi sentirti di nuovo importante! Beh, lo sai che c’è? Là fuori c’è un mondo di persone che lottano per sentirsi importanti ogni giorno, ma per te tutto questo non esiste! Accadono cose in questo mondo che tu ignori! Un mondo che per la cronaca si è già dimenticato da un pezzo di te! Insomma, chi c***o sei tu? Tu odi i blogger, ti fa schifo Twitter, non sei neanche su Facebook, è pazzesco! Sei tu quello che non esiste! Tu stai facendo tutto questo perché hai una paura dannata, come tutti quanti noi, di non contare niente. E la sai una cosa? Hai ragione: non conti! Non è così importante, ok? Tu non sei importante! Facci l’abitudine!»

Le percezioni degli insegnanti e del sentire comune possono essere intese come intuizioni non prive di senso.

Fin dagli albori della storia umana le generazioni sono state classificate secondo definizioni puramente biologiche: la durata di una generazione è compresa tra la nascita di un individuo e il momento in cui diventa genitore. Dalla fine del Diciannovesimo Secolo al 1970 circa le generazioni vengono valutate invece principalmente rispetto al contesto storico-sociale a cui appartengono: dalla cosiddetta Generazione perduta ben descritta da Ernest Hemingway alla Generazione X, le generazioni si sono susseguite ancora in modo assolutamente lineare, vengono considerate in base ad avvenimenti storici, politici, sociali e vengono spesso contestualizzate rispetto a specifici ambienti – basti pensare ad esempio che la generazione dei Baby boomers (1940 circa) è spesso descritta in base a un incremento demografico principalmente avvenuto negli Stati Uniti. Analizzare le generazioni secondo questi schemi, seppur rigidi, è la diretta conseguenza dei tempi presi in considerazione: secondo il costrutto della linearità il cambiamento è esclusivamente progressivo, tanto da non riuscire nemmeno a distinguere la differenza che esiste tra innovazione e cambiamento – se mai ce ne fosse stato bisogno. Per descrivere questo tipo di approccio prendiamo in considerazione la metafora della curva sinusoidale introdotta da Charles Handy, filosofo e autore irlandese specializzato in comportamento organizzativo e management:

Gli individui che possiamo considerare come appartenenti a queste generazioni – dal punto di inizio della storia umana fino agli Anni Settanta del secolo scorso – potevano essere descritti tramite la curva sinusoidale introdotta da Handy: si inizia a muovere i primi passi e procedendo secondo varie modalità si arriva alla vetta della curva, indicata in figura con una linea rossa. Tra il punto A e la linea rossa c’è evoluzione, nel senso che l’individuo ha pieno potere delle proprie competenze, risale lentamente la china fino ad arrivare a un punto in cui l’evoluzione non è più possibile (oltre la linea rossa).

 

Dagli Anni Ottanta in poi nel considerare le generazioni si è aggiunta la tematica della complessità, qui da intendere anche come sinonimo di multiformità – tanto che la Generazione Y prende tale denominazione proprio per creare distanza dalla precedente. Torniamo nuovamente alla curva sinusoidale presentata da Handy:

 

 

Il punto A, seguendo l’ottica della complessità, diviene ora il punto perfetto in cui poter iniziare una nuova curva, momento essenziale in cui abbiamo le risorse, i tempi e le energie essenziali per muoverci lungo un percorso di innovazione e di ricerca. L’area compresa tra le due curve è molto importante: può essere considerata come lo spazio di incubazione dell’innovazione, è l’area di confusione necessaria per integrare le tradizioni proprie della linearità con le innovazioni caratterizzanti la complessità.

continua