Consigli legali, fiscali, suggerimenti sui canali di finanziamento, Blockchain e Growth Hacking: tutto quel che può dare una mano agli aspiranti imprenditori, dalle basi alle competenze più complesse. Sono stati questi alcuni focus della seconda giornata della Rome Startup Week, incentrata sulle conoscenze oggi necessarie per il mondo dell’innovazione che i partecipanti hanno potuto approfondire attraverso i workshop che si sono svolti. Ma oltre alle competenze, si è parlato lungamente e in molteplici accezioni di innovazione sociale.
La prima conferenza della giornata è stata infatti dedicata alla valorizzazione delle donne nel lavoro e in particolare nell’economia dell’innovazione. Alla presenza di Jill Morris, Ambasciatrice britannica in Italia e a San Marino, Flavia Marzano, Assessora a Roma Semplice del Comune di Roma e Laura Tassinari, Direttrice Internazionalizzazione Clusters e Studi di LazioInnova si sono affrontati problemi legati allo scarso coinvolgimento delle donne nell’ecosistema startup, che purtroppo non sfugge alle dinamiche di genere che coinvolgono l’intero universo imprenditoriale e occupazionale. In Italia solo il 15% delle imprese innovative è fondato da donne e, per dare un numero che guarda oltre ai nostri confini, negli Usa solo il 2% del venture capital va a sostenere startup interamente femminili contro il 79% dei capitali che va a imprese interamente maschili. Anche l’Ambasciatrice britannica Jill Morris ha rilevato che nel Regno Unito le cifre non sono dissimili, tanto che solo il 3% delle ragazze dichiara di avere l’ambizione di svolgere un lavoro nell’ambito della tecnologia. “Quel che manca è la motivazione a farlo – ha detto la Morris – La disuguaglianza di genere deve diventare a breve solo un ricordo, ma dobbiamo incentivare le donne a muoversi in contesti ancora considerati maschili. Per farlo, ovviamente, è necessario agire sulla parità nel lavoro e nell’accesso al lavoro”. Laura Tassinari, ingegnere dal 1985 e oggi Direttrice di un comparto importante di LazioInnova, fornisce un dato su cui riflettere: “Negli anni ’80, il 30% dei laureati in informatica in Italia era costituito da donne. Oggi siamo al 15%: siamo andati indietro. Evidentemente le donne non sono state incentivate a frequentare le materie cosiddette Stem (Science, Technology, Engineering, Mathematics), ma dobbiamo invertire la rotta anche perché da qui al 2025 nell’Ue si creeranno oltre 8 milioni di posti di lavoro nei settori Stem di cui oltre un milione solo in Italia”. Spingere le ragazze alla scelta di materie legate alla matematica, all’informatica e alle tecnologie è dunque fondamentale anche per agire in maniera positiva sull’occupazione femminile. Che, comunque, è penalizzata enormemente visto che metà delle donne occupate lascia il lavoro dopo la nascita del primo figlio e, al primo impiego e a parità di formazione universitaria, le ragazze guadagnano il 20% in meno dei ragazzi. Per questo sia Laura Tassinari che Flavia Marzano non si sono tirate indietro nel definirsi femministe. “Sono femminista – dice Marzano che, oltre a essere Assessora, è laureata in informatica con una tesi sull’intelligenza artificiale – e da lustri mi sono ripromessa di non partecipare mai a una conferenza in cui ci siano solo relatori maschi: uno studio rileva che, se fosse un software a scegliere il genere delle presenze, le possibilità di una tavola rotonda senza donne sarebbero prossime a zero. E invece si vedono tanti consessi puramente maschili tanto che mi piacerebbe scrivere un libro su questo tema. Quando poi vedo convegni come Donne e impresa: un binomio possibile? o Donne che lavorano nella tecnologia: un bionomio possibile? penso che siano titoli di decenni fa, mentre sono convegni di questi anni”.
Un pieno di donne, invece, per il panel sull’Innovazione Sociale organizzato dalla Rome Startup Week, che ha visto inoltre la partecipazione in platea di alcune classi delle scuole superiori di Roma, incuriosite dalle tre iniziative presentate. A partire da quella di Felicia Pelagalli, Presidente l’Associazione no profit InnovaFiducia: “Come dice il nome, l’Associazione che ho contribuito a fondare si occupa di fiducia, in tanti modi e con molti strumenti, perché c’è una crisi di fiducia che coinvolge gli italiani e soprattutto i giovani. In Italia abbiamo infatti la percentuale più alta di di neet dell’Ue nella fascia under 25, il 31,1%: parliamo ragazzi che non studiano, non lavorano, non si formano in alcun modo. Dimostrando di aver poca fiducia nel futuro. InnovaFiducia ha quindi pensato di realizzare una piattaforma dedicata ai giovani per creare una community e collegamenti con il mondo del lavoro. Ma abbiamo capito in fretta che non dovevamo farla noi, che non doveva essere pensata dagli adulti. Così abbiamo organizzato una giornata e chiamato ottanta ragazzi per aiutarli a progettare i loro modelli di piattaforma: tre sono risultati i più convincenti e ora una parte dei ragazzi che ha partecipato a quella giornata sta sviluppano il prodotto finale, che si chiamerà TIPO, assieme a noi”. Un esempio di human center design, la progettazione centrata sulle persone di cui si occupa la ricercatrice di Link Campus University Valentina Volpi: “è un approccio che dà valore agli utenti che fruiranno del servizio, ai punti di vista e alle necessità reali delle persone. Questo approccio a volte si può scontrare con le necessità di un business ma quasi mai quando si parla di strumenti per l’innovazione sociale, in cui spesso non si tratta di chiedere solo un feedback, ma di rendere le persone partecipi a tutto il processo. Prodotti importanti come Tripadvisor prendono comunque le mosse da questa concezione di design”. Le persone sono decisamente al centro anche della bella sfida di Valentina Primo, tutta dedicata all’immigrazione: la sua Startup Without Borders vuole infatti supportare le startup create da rifugiati e migranti facendole incontrare con incubatori d’impresa o investitori. Una scelta etica e molto pertinente oggi, visto che il 42% delle società create in Italia nel 2017 è stata fondata da migranti e oggi un’azienda su 10 è gestita da un imprenditore straniero. “Nella mia esperienza – dice la Primo – ho scoperto che molti immigrati sono naturalmente imprenditori, perché si pongono pressoché spontaneamente in un’ottica di risoluzione dei problemi e di creatività. La mia idea è che le startup non debbano avere confini e che gli ecosistemi siano sovranazionali: la piattaforma Startup Without Borders racconta le storie e le imprese degli imprenditori migranti nel mondo e li connette con potenziali investitori e mercati”.
Nella giornata si è parlato poi di settori profondamente coinvolti dall’impatto dell’innovazione (dal ruolo dell’intelligenza artificiale sugli studi legali all’impatto delle criptomonete sul futuro del denaro e della finanza). Tra gli argomenti affrontati ha un interesse sociale anche la conferenza intitolata Il Futuro del Cibo poiché le tecnologie applicate al settore alimentare e agricolo potrebbero contribuire a rendere il ciclo di produzione più sostenibile: se ne è discusso alla presenza di Peter W. Kruger (Consigliere Delegato di Startupbootcamp FoodTech), Carlos Furche (ex Ministro dell’Agricoltura del Governo cileno, specialista di sviluppo agroalimentare), Max Leveau (Manager di FoodtechForward), Daniela Di Gianantonio (Esperta di AgriTech sostenibile per la Fao), Michele Bonanno (Fondatore e Caporedattore di Impackter), Davide Parisi (AD di Evja) e Simone Ridolfi (AD di Moovenda). Quello dell’agritech è un tema dalla centralità sociale enorme ed è, oltre tutto, uno dei più appetibili segmenti dell’economia innovativa con un valore stimato di oltre 5 trilioni di dollari. “Quando si parla di innovazione legata al cibo – dice Kruger – l’Italia purtroppo è quasi del tutto assente”. Mentre il Cile, rappresentato dall’ex Ministro Furche, è da anni un importante player: “L’agricoltura sostenibile continuerà a crescere poiché crescerà la popolazione mondiale. La produzione di cibo sano e sostenibile è la sfida del futuro anche a causa dei cambiamenti climatici, le cui evidenze sono innegabili. La scarsità dell’acqua, l’impoverimento del suolo, la deforestazione, porteranno a dover usare la tecnologia per ottimizzare, ossia produrre di più con meno risorse e non sprecando nulla”. Il nuovo paradigma secondo Furche si baserà sulla ricerca genetica, sull’uso dei big data, sull’intelligenza artificiale e su nuove regole per la produzione “perché l’impatto etico di questa filiera sarà sempre più forte e dovrà essere preso sempre più in considerazione anche dalla politica”. Una previsione confermata da alcune esperienze come quella di Daniela Di Gianantonio, esperta di agritech sostenibile per la Fao. “Anche se ci sono stati miglioramenti negli anni – dice Di Gianantonio – 850 milioni di persone soffrono la fame e quasi 2 miliardi hanno deficienze nutrizionali, mentre decine di milioni di persone sono sovrappeso o sprecano cibo. La tecnologia può aiutarci a superare questo paradosso. Negli ultimi anni io e i miei colleghi abbiamo lavorato allo sviluppo di digital advisory services che combinano vari livelli di informazioni: quelle meteo, quelle climatiche, quelle legate alla produzione agricola e altro. Abbiamo realizzato un sistema di intelligenza artificiale per i cellulari che abbiamo offerto agli agricoltori in Ruanda e Senegal: usando i telefoni, gli agricoltori possono rilevare le malattie delle piante, i benefici nutrizionali o le proprietà delle materie prime. Ci sono opportunità enormi per queste tecnologie, tutte legate all’innovazione digitale che va portata letteralmente nelle mani delle persone che ne hanno più bisogno”. Anche Davide Parisi, AD di Evja (startup attiva nella Smart Agricolture) ha lavorato su questo fronte realizzando OPI, un sistema di supporto decisionale per le aziende agricole basato su sensori e algoritmi previsionali. “Come usare meno acqua e rendere più efficiente l’irrigazione, come abbattere l’uso di pesticidi o componenti chimici: il sistema suggerisce soluzioni direttamente alle aziende agricole che lo usano”. Del resto, come si è detto in chiusura, 3 millenial su 4 considerano la sostenibilità ambientale dei prodotti una priorità. Questo apre a una nuova consapevolezza nei consumatori, che inevitabilmente porterà l’agritech e il foodtech al centro dei processi di un ambito in crescita continua.
La conferenza TravelTech Opportunities ha parlato invece di turismo – altra filiera fortemente mutata dall’informatizzazione – assieme a Karin Venneri, Presidente dell’Associazione Startup Turismo e Alfredo Bruni, Coordinatore di FactorYmpresa Turismo Invitalia. Anche in questo campo, l’Italia arranca dietro ai principali competitor internazionali scontando un deficit legato alla digitalizzazione. Come per il cibo, di cui siamo leader, così per il turismo, in cui siamo una delle mete più gettonate del pianeta, abbiamo pochi player che lavorano nei comparti più innovativi. Le OTA (online travel agency) hanno però disintermediato la filiera tradizionale anche in Italia dove cresce l’ecommerce per le prenotazioni (anche se il 23% dei turisti prenota ancora solo attraverso la tradizionale agenzia di viaggi), la richiesta di servizi ancillari come le esperienze o le destinazioni peculiari, e ovviamente l’alberghiero dove la realtà aumentata viene utilizzata sempre più per far visitare un hotel prima del viaggio. Come si posizionano in questo scenario le startup italiane? “Alla fine del 2017 rappresentavano il 2% del panorama globale – spiega Karin Venneri, Presidente dell’Associazione Startup Turismo – anche se il 2018 ha visto una forte crescita. Si trovano soprattutto a Milano e a Roma e la metà di queste offre prenotazioni, spesso molto specializzate in settori definiti come i viaggi in barca per esempio. Negli ultimi 4 anni i fondi di investimento hanno investito 16 milioni di euro in 8 operazioni su startup turistiche, ma di questi oltre la metà sono stati investiti in una sola realtà, Musement. In Italia nel 2018 sono stati 10 i dollari di investimento pro-capite sulle startup del turismo, contro i 123 della Svezia e i 45 della Francia, mentre crescono gli investimenti da parte degli enti territoriali”. L’Agenzia nazionale per lo sviluppo d’impresa, Invitalia, ha lanciato da due anni FactorYmpresa Turismo: “L’idea è dare supporto economico, fornire tutoring e mentoring – dice il coordinatore del progetto Alfredo Bruni – a iniziative in fase embrionale. FactorYmpresa lancia sfide nazionali, da cui vengono selezionate una ventina di proposte che poi sono invitate a un evento di accelerazione di alcuni giorni, dove i team si preparano al pitch e i vincitori ottengono 10mila euro da utilizzare per lo sviluppo dei progetti. Lo scorso anno abbiamo creato inoltre i Town Meeting, riunioni che finora si sono tenute a Firenze e a Torino, da cui vogliamo far emergere le domande più urgenti del settore cui poi le startup possono contribuire a dare risposte che significa pensare a nuovi prodotti. In due anni abbiamo ricevuto 800 idee innovative di business, premiandone 63 ed erogando 630mila euro”.