Piero Fioretti: tenacia e disciplina, sono le caratteristiche fondamentali per realizzare un’idea

di Walter Scarfò / WebLinkedin 

Abbiamo conosciuto Piero Fioretti nel maggio scorso, con il suo gruppo era a Blast, la startup competition organizzata in collaborazione con Fiera di Roma; noi eravamo lì con Giulio, cercando di aiutarlo a completare la sua missione di costruzione della “molecola di futuro”.

Quando Piero si è presentato non lo ha fatto con il suo nome, con un sorriso contagioso ci ha avvicinato dicendo “…ciao noi siamo i ragazzi di Natwork…” abbiamo capito che Piero, non era li semplicemente per se stesso, con un progetto che voleva che fosse soltanto suo; con i suoi ragazzi era lì, per realizzare un sogno, costruire qualcosa che fosse in grado di esserci, indipendentemente dalle persone che in quel momento stavano lavorando al progetto.

Da maggio 2017 sono cambiate molte cose in Natwork, ma facciamocelo raccontare dalla persona che forse conosce meglio questa storia.

 

Ciao “Peter” dai, raccontaci chi è Piero Fioretti e come nasce Natwork.

Sono nato a Pisa nel 1994, ed ho vissuto lì fino al termine degli gli anni della scuola. Sin da piccolo mi sono appassionato ai videogiochi, che ancora oggi rappresentano una componente importante della mia vita.

Oltre alla passione videoludica, ho sempre sognato di diventare il Tony Stark del futuro, per costruirmi i miei robot ed i miei sistemi intelligenti. Dopo aver smontato e aggiustato varie Playstation, aver rotto una mattonella del pavimento di casa per capire cosa ci fosse dentro, e aver quasi dato fuoco a una macchina, a 19 anni decido di trasferirmi a Torino per incanalare questa curiostà negli studi di Mechanical Engineering al Politecnico.

Finisco per trascorrerci 3 anni, in cui oltre agli studi, ho il piacere di assaggiare la vita da imprenditore grazie all’associazione JEToP di cui sono stato HR Manager. Questa esperienza durata circa 1 anno, mi ha portato a conoscere tantissime persone, aprendomi la mente su ciò che potevo fare in futuro.

In questo periodo,  oltre che dalla voglia di emulare Tony Stark, ho capito che essere imprenditore era ciò che volevo fare nella mia vita, e questa voglia mi ha permesso di creare la mia prima startup nell’ambito del networking professionale, Natwork.

 

Seth Godin afferma che “Se sono in pochi a dubitare di voi, non state facendo la differenza”, raccontaci come nasce Natwork e quanto è stato difficile convincere chi oggi lavora con te che era questa la strada giusta da seguire.

Natwork è nata come una mia personale necessità. Lavoravo a una grossa fiera sulle tecnologie indossabili con JEToP, e per portare all’interno nuovi standisti, ero andato a conoscerli di persona durante il Lucca Comics&Games. Dopo averne conosciuti a decine, mi sono reso conto che in futuro avrei avuto difficoltà a mantenere i rapporti con tutte queste persone, indipendentemente dalla loro presenza all’evento. Da li ho capito che avevo bisogno di uno strumento che mi aiutasse in questo, di un qualcosa che mi ricordasse di mantenere quei rapporti vivi, nonostante tutte le cose che dovevo fare.
In quel momento è nato nella mia testa la prima versione di Natwork.

A differenza di molte altre startup, attraverso il network che mi ero creato in quel periodo, ho avuto la fortuna di trovare chi fosse disposto a investire nell’idea prima ancora delle persone che ci lavorassero con me. Da li chiaramente ho iniziato a crederci di più anch’io, iniziando il lungo e frastagliato percorso che mi ha condotto fino a oggi.

Si, perché non è semplice costruire un progetto, anche se a prima vista lo può sembrare. Prima di arrivare ad avere dei clienti paganti infatti, Natwork ha cambiato ben 3 team, ed è rinata dalle sue ceneri 7 volte prima di arrivare a essere effettivamente appetibile per il mercato. Un percorso tortuoso, stancante e che spesso mi ha fatto perdere quella fiamma che avevo all’inizio.

Così ho capito che le caratteristiche principali che una persona deve avere, per concretizzare un’idea sono tenacia e disciplina, e sono qualità che non si trovano in tutte le persone.

Le difficoltà che ho incontrato in questo lungo percorso mi hanno portato a capire che dovevo scegliere bene i miei compagni di viaggio, perché quando tutto funziona non ci sono mai scontenti,  ma è quando le cose vanno meno bene, che si vede chi è meno convinto, chi crede meno in quello che si sta facendo cercando inevitabilmente di approdare in porti più sicuri.

Il segreto è tenere le persone motivate, coinvolgendole nelle scelte future, prendendo sempre decisioni funzionali ad un obiettivo comune.
Non si tratta di convincere le persone a credere in un qualcosa che avverrà in futuro, ma far vivere quel qualcosa a queste persone ogni giorno, renderli partecipi della sua realizzazione.

 

Cosa vuol dire fare network oggi?

Network-ing è un termine derivante dall’inglese che può essere tradotto in italiano come “fare rete”, o meglio “creare relazioni”.

Si fa network da sempre,  e sono stati scritti centinaia di testi che ne mostrano i vari aspetti. Con l’era digitale ovviamente il modo di creare rete si è trasformato, ma i concetti alla base rimangono gli stessi. La facilità con cui oggi ci si può connettere con una persona dall’altra parte del mondo, ha fatto sì che si possano creare relazioni in cui anche senza una stretta di mano si può fare business come se fossimo faccia a faccia.

E se si pensa che “fare business” significa creare relazioni, direi che non c’è mai stato momento migliore nella storia per farlo.

Il rischio però, è che proprio per la facilità con cui è possibile fare networking oggi, questo venga spesso trascurato, o fatto in maniera superficiale, mandando richieste di collegamento sui social network senza preoccuparsi poi di coltivare effettivamente le relazioni in un secondo momento.

Personalmente credo che la soluzione ottimale sia creare un connubio tra digitale e analogico, per creare relazioni stabili, in grado di creare valore comune e condiviso.
Il digitale e la tecnologia sono potenti strumenti di business, ma non sostituiscono le relazioni umane, perché in fondo, le emozioni provocate da una stretta di mano, da un abbraccio o da un caffè preso insieme al bar, sono ciò che ci rendono veramente vivi.

A riguardo mi piace citare Charles Dickens quando affermava che…
La comunicazione elettrica non sarà mai un sostituto del viso di qualcuno, che con la propria anima incoraggia un’altra persona ad essere coraggiosa e onesta.”

 

Opporsi al cambiamento non servirà a nulla, sei d’accordo?

Sono d’accordissimo! Come dice Darwin in una delle sue frasi Old but Gold:
Non è la più forte delle specie che sopravvive, né la più intelligente, ma quella più reattiva ai cambiamenti.

Se da un lato il cervello e il corpo umano sono restii al cambiamento, dall’altro cambiare è alla base del nostro essere, ed è ciò che ci rende in grado di andare avanti.
Le emozioni stesse sono il cambiamento di uno stato d’animo, ed è per questo che le sentiamo strane dentro di noi.

L’era tecnologica in cui stiamo vivendo attualmente, ci sta portando a fare cambiamenti radicali nelle nostre vite, e nelle nostre aziende. Opporsi ha poco senso, anche perché la società andrà avanti con forza in questa direzione, e andargli contro significherebbe rimanerne esclusi.

Prendo in prestito una metafora di Umberto Macchi, persona che ho avuto il piacere di conoscere e con cui ho collaborato. Il cambiamento è come una enorme onda che va contro la spiaggia. Per tutti quelli che la guardano dalla sponda rappresenta pericolo e quindi conseguente paralisi. Per il surfista invece, rappresenta l’onda perfetta, quella che ha aspettato per anni, e che se cavalcata bene, non solo lo farà sopravvivere, ma gli permetterà di vivere un momento magico ed emotivamente potentissimo.

Possiamo quindi scegliere da che parte stare, ma dobbiamo essere coscienti delle conseguenze.

Come Natwork crediamo molto in ciò che c’è tra digitale e analogico, tra virtuale e reale, ed è per questo che abbiamo deciso di non stare né prima né dopo l’onda, ma di cavalcarla, per aiutare i professionisti a creare nuove relazioni faccia a faccia, con strumenti derivanti dal digitale.

 

Credi che la cosa giusta da fare in un percorso di crescita sia “evitare chi non ci crede” o “cercare di convincere” le persone che la tua idea possa avere un valore da esprimere?

Nell’ultimo periodo ho imparato che è sempre il momento giusto per vendere. Se si aspetta una situazione particolare per poter approcciare una persona, si finisce col non farlo più.

Certo, non tutti sono effettivamente interessati a ciò che stai facendo, ma nulla vieta di di provarci comunque. Spesso sono proprio i contatti che ci sembrano meno interessati a noi, quelli che ci dimostrano la voglia maggiore di aiutarci in un modo o in un altro.

Il problema spesso siamo noi stessi, che crediamo che una persona non sia interessata a ciò che stiamo portando avanti, ancor prima che quella persona ci dimostri il suo disinteresse.

Nel mondo ci sono persone definite Innovators e Early Adopters, ovvero coloro che sono disposti prima di altri ed anche prima che siano rilasciati sul mercato, a provare nuovi sistemi e tecnologie. Punterei quindi a tirare dentro loro ed evitare di convincere quelli più difficili. Loro hanno bisogno di più tempo.

 

Sei d’accordo che la fiducia, l’abilità di creare contatti e la capacità di sorprendere sono i tre elementi che oggi possono fare la differenza?

Penso che sono sicuramente 3 elementi usati dalle più grandi aziende come Amazon e Netflix, e questo non può essere sottovalutato da chi vuole costruire un qualcosa di proprio.

Oggi attraverso i social network, le persone possono parlare direttamente con i più grandi brand, creando un vero e proprio rapporto di fiducia e di scambio.
Questo vuol dire creare valore comune, questo sistema responsabilizza anche le Aziende più grandi, che hanno capito che non si può più prescindere da tali elementi, se si vuole rimanere ai livelli del mercato, e non essere aziende mediocri.

La stessa cosa vale per la creazione di contatti e la capacità di sorprendere, elementi che se ben curati possono rendere i clienti stessi portatori del nostro messaggio.

 

Piero grazie di aver passato del tempo con noi, grazie di aver creduto da subito, che questo fosse lo spazio giusto per condividere il tuo progetto ed i tuoi obiettivi. Siamo solo all’inizio della vostra storia e spero che nei prossimi mesi avremo ancora il piacere di raccontare un progetto fatto di persone e non solo di tecnologia.