Il mondo della scuola si trova, ormai da quasi dieci anni, coinvolto in un processo di sviluppo digitale, definito da molti fallimentare. Il Piano Scuola Digitale nasce nel 2007 ed, infatti,  ad oggi i risultati ottenuti non possono definirsi soddisfacenti, se si pensa che: solo il 25% delle scuole secondarie di secondo grado navigano ad alta velocità; le scuole dotate di LIM o proiettore interattivo, invece,  sono solo il 32% in tutta la nazione (fonte MIUR).

Ma è solo un problema di dotazione di strumenti?Oppure nella scuola del futuro, è necessario spostare il dibattito anche su un nuovo modo di progettare la didattica?

Nel vivo del dibattito sull’education 2.0, Openhub ha deciso di rivolgere l’attenzione ad una buona pratica tutta italiana, che proviene da chi la scuola la vive tutti i giorni. Impari è una piattaforma di social learning nata 4 anni fa dal coautore del progetto Semidas-Scuola Digitale della regione Sardegna, Luciano Pes (L.P.). A lui abbiamo rivolto alcune domande, per valorizzare e promuovere una piattaforma social legata al mondo dell’istruzione, dove genitori, alunni e docenti possono ritrovarsi e condividere materiali, idee e molto atro.

D: Da quale impulso di innovazione nasce il progetto Impari?

L.P.: Nasce da un’occasione mancata con il progetto Semidas-Scuola Digitale della regione Sardegna, che prevedeva una rivoluzione digitale nel mondo della scuola della nostra  regione, in particolare mi riferisco alla   nascita di una   piattaforma web, da sviluppare e rendere disponibile all’interno del progetto.  Purtroppo  questa  azione  non fu realizzata e proprio per questo ho pensato di sviluppare  Impari, che in lingua sarda significa INSIEME. Il progetto è stato quindi concepito come  prosecuzione degli studi, delle idee, delle criticità e delle riflessioni  che il progetto Semidas-Sardegna Digitale   aveva posto.  Personalmente ero molto interessato allo sviluppo di una  piattaforma  social, da adattare al  campo educational, tale da consentire a  docenti e studenti, ma anche a docenti tra di loro, di produrre e condividere materiali didattici online, qualcosa da affiancare al manuale scolastico in modo da arricchire l’esperienza dei libri digitali.

D: Dopo 4  anni di sperimentazione, qual è a tuo parere, il risultato migliore raggiunto dal progetto?

L.P.: Attualmente, anche se  disponibile solo in italiano ( ma stiamo lavorando alla versione inglese perché vogliamo proporre l’esperienza all’estero) Impari è utilizzata da  circa 12.000 utenti  registrati che hanno prodotto più di 9.000  oggetti didattici fra libri, web slides, mappe concettuali, appunti digitali, prove strutturate e altri materiali di diversa tipologia. Per ciascuno di  questi oggetti  la piattaforma prevede il salvataggio dei dati su formati aperti. Così, il libro scolastico viene  concepito come oggetto che può essere personalizzato e arricchito dagli studenti, le presentazioni vengono prodotte in formato html o disegnate sull’oggetto CANVAS dell’HTML5, come  detto formati liberi, non proprietari ed editabili nel cloud con un semplice browser.
Il miglior risultato raggiunto, ma ce ne sono altri connessi e interrelati, è dato  dal fatto che tutti i ragazzi  producono i loro materiali, quindi li conoscono, acquisiscono   competenze digitali e al tempo stesso raggiungono  gli obiettivi minimi richiesti nell’ambito disciplinare su cui si esercitano,  se non altro perché sono loro stessi a produrre ciò che devono esporre. Come esemplificazione di ciò che voglio dire, posso  citare la mia esperienza personale con la piattaforma, che è solo un punto di vista naturalmente: Con il suo utilizzo  ho registrato un miglioramento dei voti da parte di tutti ed una sostanziale assenza di votazioni al di sotto della sufficienza. In questi 4 anni  nessuno dei miei studenti è stato rimandato o bocciato in filosofia, tutti sono stati  promossi. Considerato che  le mie  classi sono otto e che risultano composte mediamente da  25 studenti ciascuna, su una sperimentazione di 4 anni, per un numero complessivo di 800 ragazzi, il fatto che nessuno sia stato bocciato in filosofia mi sembra un risultato rilevante.

D: Spostare il focus dalla lezione all’apprendimento collaborativo, è un grande passo per la scuola italiana, nonostante in Italia ci sia stato il grande esempio di A. Manzi. Secondo lei, quali aspetti dell’educazione 2.0 sono necessari per educare alla genialità?

L.S.: Più che di genialità preferisco parlare di creatività, sulla quale abbiamo il compito di intervenire come scuola per favorirla, e , se possibile, per recuperare il tempo perduto e farci perdonare il fatto che tutti i bambini nei primi anni di vita sono creativi, mentre cessano di esserlo in seguito ad un tipo di scuola  standardizzata.  La genialità la considero banale, nel senso che le persone geniali, pochissime, anche se potenzialmente tutti  lo siamo, sono persone che si trovano al momento giusto nel posto giusto. Un pochino come i grandi personaggi della storia che  visti da vicino ci appaiono abbastanza comuni e deludenti. Risultano eccezionali  solo perché  sono stati  eletti  da quella che Hegel definiva “astuzia della ragione”  ad un ruolo di rilievo, ma solo in quanto la ragione ha bisogno delle  loro passioni  per raggiungere i suoi obiettivi. Spostare il focus dall’insegnamento all’apprendimento risulta  fondamentale perché nessuno è creativo senza far niente. Gli studenti , trascurati nel nostro sistema scolastico per quanto riguarda le loro potenzialità, sono la vera forza motrice del cambiamento. Non sono vasi da riempire e non possiamo pretendere che si entusiasmino per le cose che proponiamo noi docenti, se non li valorizziamo, o peggio se pensiamo di educarli tenendoli sullo sfondo con una specie di  “freno a mano  tirato” . Come si può pretendere che gli studenti siano creativi se non fanno,  se non hanno la possibilità di creare, se non sono loro al centro dell’attività educativa? Le innovazioni  sono sempre un processo sociale, collettivo e condiviso, che ha bisogno di collaborazione. Anche se è il singolo che  riassume e lega il suo nome ad un certo evento di successo,  nel raggiungimento di un obiettivo conoscitivo, il contesto della scoperta  non è mai individuale, si tratta piuttosto di un processo di collaborazione, di condivisione e quindi di partecipazione.

D: Quali sono gli strumenti più utilizzati, tra quelli messi a disposizione, nell’ambiente social di IMPARI? E da quali utenti?

 L.S.: Lo strumento più utilizzato sono le web slides, che consentono ai ragazzi di produrre velocemente delle presentazioni inglobando oggetti liberamente reperibili in rete. Il fatto che la piattaforma sia cloud, consente grandissimi vantaggi. Nessuno deve scaricare e installare niente, quello che serve è il richiamo di un semplice link.

Ogni studente è libero di utilizzare lo strumento che ritiene  più utile per la sua attività formativa. All’inizio dell’anno dedico qualche minuto a spiegare anche il sistema di valutazione e il peso che assegno ad ogni oggetto realizzato. Per esempio, prendere gli appunti in classe su un tablet o su un cellulare, trasferirli sulla piattaforma sic e simpliciter, così come sono stati presentati dal docente  e trasformarli in un  libretto interattivo, è un’attività che  viene premiata con un mezzo punto in più all’interrogazione. Arricchire questi testi con video, link da altri siti e  immagini, in modo da realizzare  un booklet più completo,  viene invece premiato con un punto. Lo stesso dicasi (un punto in più) nel caso lo studente decida di tradurre la sua presentazione in una lingua straniera. Insomma, per tutti gli oggetti è previsto un peso differente, a seconda del tempo che è socialmente necessario per produrlo. Il fine ultimo  è far in modo che tutti studino filosofia (la disciplina che insegno) e come effetto correlato, senza dedicare alla questione neanche un’ora di lezione, che tutti gli alunni maturino le competenze digitali richieste dai framework europei.

D: Da filosofo, se dovessi immaginare un modello nuovo per la scuola, come si strutturerebbe? Come, secondo lei, il learning social dovrebbe integrarsi con il lavoro in aula?

 L.S.: Credo che se i sistemi scolastici non cambieranno, presto o tardi crolleranno. La scuola di massa è stata creata per una società che oramai non esiste più e le metodologie oggi utilizzate vanno bene per i docenti, ma non per gli studenti. Credo che siamo rimasti talmente indietro nei processi di innovazione, che ormai  riformare il sistema sia una perdita di tempo, occorre cambiarlo radicalmente. Più che riforme,  serve un’autentica rivoluzione,  condivisa e alla quale devono partecipare tutti gli attori della comunità scolastica: ministero, regioni, autonomie, dirigenti, docenti, famiglie, studenti. Il cambiamento poi deve essere orizzontale, non verticale. Processi di imposizione digitale come il registro elettronico, che non è vera innovazione ma è semmai il contrario, dimostrano quanto questo processo sia sbagliato e improduttivo.

Non serve neanche importare “così come sono” i modelli efficienti di società lontane come la Corea del Sud o più vicine  a noi, come la Finlandia. Purtroppo, o per fortuna, noi abbiamo una storia scolastica molto particolare, piena di errori in certi campi ma ricca di soddisfazioni in altri. Per questo credo sia necessario, in questo processo di ribaltamento  del sistema scolastico,  trovare  una via tutta italiana. Credo che il nuovo modello di scuola sarà digitale, dove però la LIM, strumento per il docente, verrà messa sullo sfondo a favore di nuovi strumenti per l’apprendimento degli studenti. Non parlo di tablet, che sono solo il primo gradino di questa innovazione; mi riferisco al focus: una scuola più interessata  alla qualità dell’apprendimento e molto meno alla burocrazia e al sistema di valutazione, ormai datato.